Mi chiamavano Speed Queen

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Mi chiamavano Speed Queen

Marjorie, alias Speed Queen, è rinchiusa nel braccio della morte, e nelle ore che precedono la sua esecuzione mediante iniezione letale detta ad un registratore le sue memorie, che serviranno a Stephen King, che ha comprato i diritti della storia della sua vita, per farne un libro.

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Marjorie, alias Speed Queen, è rinchiusa nel braccio della morte, e nelle ore che precedono la sua esecuzione mediante iniezione letale detta ad un registratore le sue memorie, che serviranno a Stephen King, che ha comprato i diritti della storia della sua vita, per farne un libro. Dalla sua infanzia all’adolescenza, alla maternità, all’incontro con il marito Lamont e l’amica Natalie, che saranno suoi partner in un torbido menage a trois e soprattutto in una rapina sanguinosa e nella successiva fuga in automobile assieme al piccolo figlio, fino alla cattura ed al tragico finale, Marjorie racconta la sua visionaria, americanissima odissea…
Da che parte è la verità? Cosa è la colpa? Come cambia una persona di fronte alla prospettiva della morte? E soprattutto: esiste qualcosa di lontanamente paragonabile al primo sorso di una lattina di Diet Pepsi ghiacciata che brucia in gola? Indeciso all’inizio di ogni capitolo se buttarsi sul romanzo on the road, sul delirio iconoclastico ultraviolento alla Natural born killers o sul divertissement letterario, Steward O’Nan riesuma la tradizione medievale secondo la quale i condannati a morte potevano raccontare la loro vicenda ad un cantastorie, che poi la narrava al popolo: il cantastorie della cultura americana di massa non poteva essere altri che Stephen King (in origine il libro doveva addirittura chiamarsi “Dear Stephen King”, ma lo scrittore del Maine ha minacciato O’Nan di intentare una causa milionaria perché temeva che il suo nome venisse usato come simbolo di letteratura-immondizia: in seguito King si è scusato facendo sapere a O’Nan che il romanzo gli era piaciuto molto), che viene continuamente citato, omaggiato, preso in giro con l’affetto del vero fan. Assieme a tutti i simboli di una intera civiltà, nei quali la protagonista sprofonda fino all’annullamento di se stessa o all’apoteosi, a seconda dei punti di vista. Le anfetamine, i distributori di benzina automatici, i fast food drive-in, il culto per le pistole e per le macchine di serie modificate, il sesso, la prigione, il sangue, la pena di morte negli Stati Uniti: tutte macchie di colore di una giostra che gira a rotta di collo, di un carnevale metallico e pop.

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